Ciao a tutti i visitatori

Ciao a tutti i visitatori e grazie per essere entrati nel mo blog, spero che qua vi divertiate un po'. Io cerco di condividere al meglio con voi la mia passione-il calcio-e se avete dei suggerimenti vi prego di lasciarmi un commento. Grazie per la Vostra partecipazione Francesco

mercoledì 2 maggio 2007

Alfredo Di Stefano


Alfredo Di Stéfano

(Buenos Aires, 4 luglio 1926) è stato un calciatore argentino, da molti esperti ritenuto il migliore calciatore di tutti i tempi.
In carriera ha vestito la maglia di tre nazionali diverse:
Argentina, Colombia e, infine, Spagna. Autorevoli correnti di pensiero lo giudicano il miglior giocatore della storia del calcio, superiore persino a Pelé e Maradona.


Carriera
A soli 15 anni entra nella rosa della seconda squadra del River Plate, per approdare l'anno successivo in prima squadra dove si affiancò ad altri nomi straordinari che fecero il grande River degli anni Quaranta.
Nel
1947, a soli 21 anni debutta con la maglia della nazionale argentina con la quale vince la Coppa America segnando ben 6 gol.
Passato al
Millonarios (Colombia), contribuisce con i suoi 267 gol in 292 partite a farne la più grande squadra della storia della Colombia, vincendo quattro campionati in cinque anni.
Ma è al
Real Madrid che la stella di Alfredo Di Stefano conosce il suo maggior splendore: bastano i numeri a descriverlo, 8 campionati spagnoli, 5 Coppe dei Campioni (in cui andò sempre a segno nelle rispettive finali, unico nella storia a riuscirci), 1 Coppa Intercontinentale e tantissimi riconoscimenti a livello mondiale tra cui spiccano due Palloni d'oro.
Il suo passaggio al
Real Madrid è controverso: destinato al Barcelona, che lo aveva ormai acquistato, passa invece alle Merengues a causa dell'intervento del generale Francisco Franco, che decide che il giocatore dovrà dividere la sua carriera tra le due squadre, giocando una stagione a Barcelona ed una a Madrid; i blaugrana, indignati, lasciano allora il giocatore al club della capitale.

Johan Cruyff


Calciatore

Entrò a far parte del settore giovanile dell'Ajax a dodici anni, debuttando poi in prima squadra già nel 1964. Nel ruolo di mezzala, tra il 1965 e il 1973, vinse 5 scudetti, 3 Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e 2 Supercoppe Europee.
Dal
1973 al 1978 vestì la maglia del Barcellona, con cui vinse un campionato spagnolo. Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta giocò in America nel neonato campionato statunitense. Ritornò poi in Spagna, stavolta nel Levante, e chiuse la carriera in Olanda, prima di nuovo con l'Ajax e poi con il Feyenoord (1984).
Cruyff, che ebbe moltissima fortuna con le squadre di club, non riuscì ad avere altrettanto successo con la nazionale olandese: fu vice-campione del mondo nei
mondiali del 1974, anno in cui l'Olanda perse la coppa in finale dopo una sconfitta per 2 a 1 contro la Germania. Dopo essere stato accusato di scarso impegno dalla federazione, egli decise di non rispondere mai più a nessuna convocazione in Nazionale.
Inoltre come giocatore si aggiudicò per tre volte il
Pallone d'oro: nel 1971, nel 1973 e nel 1974


Allenatore

Anche come allenatore Cruyff ha tagliato traguardi molto prestigiosi. Ha guidato l'Ajax dal 1985 al 1987 e il Barcellona dal 1987 al 1996. Con gli spagnoli ha vinto quattro scudetti, una Coppa dei Campioni e una Coppa delle Coppe. Si ritirò dal mondo del calcio nel 1997, a causa di seri problemi di salute legati al cuore.

domenica 29 aprile 2007

Campioni di ieri e di oggi



Pelè




Edson Arantes do Nascimento, meglio noto come Pelé (nato a Três Corações, Minas Gerais, il 23 ottobre 1940), detto anche o rei ("il re"), è stato un grande calciatore brasiliano. È da molti considerato come il più forte giocatore di tutti i tempi.
Il nomignolo Pelé gli venne dato quando era ancora un ragazzino da un compagno di scuola e, sebbene il giocatore non abbia mai nascosto di non gradirlo, rimane l'appellativo con cui è stato consegnato alla storia del calcio, assieme a quelli di altri grandi, come
Didi e Va, campioni del mondo nel 1958 e nel 1962. In realtà, Pelé ha sempre ricordato con orgoglio come il suo vero nome - con il quale vorrebbe essere appellato - cioè Edson, gli sia stato imposto in onore di Thomas Alva Edison.
Talento precoce, capace di sconvolgere le difese avversarie già a sedici anni, Pelé possedeva un dribbling ubriacante e un tiro formidabile perché potente e preciso. Non era molto alto, ma se la cavava egregiamente anche nei colpi di testa (e di testa segnò goal importanti anche ai Mondiali).
Con la
nazionale brasiliana, egli vinse tre edizioni dell'allora Coppa Rimet (oltre che nel '58 e nel '62, anche nel 1970) ed anche se non riuscirà mai, causa infortuni, a diventare capocannoniere di una edizione della Coppa del Mondo, il suo nome resterà sempre scritto nell'albo d'oro di questa competizione. Il suo goal realizzato alla Svezia nel 1958 è considerato (insieme a quello che realizzò Diego Armando Maradona contro l'Inghilterra) il più bel gesto tecnico realizzato nella fase finale di un campionato del mondo.

Pelé giocò nella squadra brasiliana del Santos dal 1956 al 1974 vincendo numerosi campionati brasiliani. Negli anni Sessanta e Settanta il Santos era considerata la squadra migliore al mondo tanto che essa girava il mondo disputando amichevoli con innumerevoli squadre, una sorta di Globe Trotters. Singolare è l'episodio in cui un arbitro "osò" espellere O' Rei: il pubblico si imbestialì a tal punto che Pelé rientrò in campo e fu il direttore di gara stesso a dover abbandonare il rettangolo verde. Nel 1975, dopo un anno lontano dai campi di gioco, venne ingaggiato dai New York Cosmos, una modesta squadra americana che, grazie al suo apporto ed a quello di Giorgio Chinaglia, riuscì a vincere lo scudetto statunitense nel 1977.
Dopo questa ennesima vittoria Pelé decise di ritirarsi dal mondo del calcio dopo aver realizzato 1221 gol, che gli valsero il titolo di più grande cannoniere della storia del calcio, che ancora oggi detiene.
Pelé resterà per sempre sinonimo del calcio vero, quello fatto di allegria e spensieratezza, anche perché O Rei tuttora è molto impegnato nel sociale e sfrutta la sua immagine, ormai un'icona in tutto il mondo, per girare spot a favore del calcio
africano e dei popoli più bisognosi in generale. Per questi motivi Edson Arantes Do Nascimento detto "Pelé" rimarrà per sempre una pietra miliare del calcio.
A differenza di suoi illustri colleghi, Pelé ha preferito non fare l'allenatore di calcio: si è invece occupato di
politica diventando anche ministro dello sport in Brasile a metà degli anni Novanta.
Da anni lotta per l'educazione dei giovani contro l'uso di
sostanze stupefacenti. Nonostante il suo impegno il suo stesso figlio è stato arrestato per spaccio di tali sostanze.

Scuole calcistiche nel mondo




I maestri inglesi
La scuola inglese è stata a lungo quella dominante. Nei primi 50 anni del passato secolo, affrontare l'Inghilterra o una squadra di club inglese significava andare a lezione di calcio, prendere una enorme quantità di reti e segnarne pochissime, se non nessuna. La ragione è che gli inglesi adottarono prima di chiunque altro la tattica, si disponevano con ordine in campo, sapevano colpire il pallone in modi allora impensabili e, soprattutto, arrivarono prima di tutti gli altri al professionismo.
Nella fase moderna del calcio, la scuola inglese predica un calcio basato molto sulla fisicità, una tecnica di base piuttosto povera e una tradizione di centravanti e di difensori centrali fortissimi di testa, nati per raccogliere o contrastare i lanci lunghi dal centrocampo o dalle fasce. Questa tradizione inglese sta tuttavia scomparendo sotto la spinta di diversi modi di concepire il calcio introdotti in Inghilterra da giocatori e allenatori stranieri, soprattutto francesi nel
campionato di calcio inglese che ha elevato, e di molto, il tasso tecnico almeno delle squadre più prestigiose.
Lo schema classico del calcio inglese era, e rimane, il più diffuso: il 4-4-2. Portiere: stella di sempre: Gordon Banks. Difesa: uno dei centrali si stacca di qualche metro indietro, i terzini raramente superano la metacampo. Stella di sempre: Bobby Moore. Centrocampo: disposto in linea. Uno dei centrali ha funzione difensiva, l'altro si inserisce in area avversaria durante la fase di attacco. Gli esterni sono ali pure, preferibilmente veloci e abili nel dribbling. Stella di sempre: Stanley Matthews. Attacco: ci si affida ad attaccanti abili in area da rigore, generalmente forti fisicamente e di testa, ma a volte anche agili e reattivi. Stella di sempre: Bobby Charlton.



La fine del dominio britannico: la grande Ungheria
L'iniziale dominio incontrastato degli inventori del calcio finì il
25 novembre 1953 quando la nazionale di calcio ungherese sconfisse pesantemente i maestri per 6-3, per giunta nella cattedrale del calcio: lo stadio di Wembley a Londra. Gli inglesi fino a poco tempo prima si erano rifiutati di affrontare nazionali straniere e di partecipare alle competizioni internazionali, orgogliosi della propria superiorità. Quando le frontiere si riaprirono, gli ex maestri si resero conto di essere stati raggiunti ed abbondantemente superati dallo splendido gioco della scuola ungherese la cui nazionale nel 1938 aveva perso un campionato mondiale solo in finale contro l'Italia.
Ma la nazionale che vinse a Wembley fu senza dubbio la più forte degli anni cinquanta e a detta di molti, una delle più belle della storia di questo sport. Un anno prima del 6-3 questa squadra si era aggiudicata l'oro olimpico di
Helsinki senza molte difficoltà. Gli ungheresi hanno sempre brillato per la loro tecnica sopraffina e le giocate spettacolari, ma nessuna nazionale o squadra di club raggiunse la competitività di quell'Ungheria.
Era una squadra basata sul blocco della
Honved, la squadra dell'esercito magiaro. Una formazione composta da talenti come Ferenc Puskás (forse il migliore in assoluto, fece la fortuna del Real Madrid), Josef Bozsik, eccellente interprete del ruolo di mediano e Sandor Kocsis in attacco insieme a Nandor Hidegkuti che giocava da centravanti mimetizzato da centrocampista. Da non dimenticare Laszlo Kubala che giocò a lungo nel F.C. Barcelona, considerato dai tifosi blaugrana il migliore della storia del loro club.
La Grande Ungheria perse la finale del Mondiale
1954 contro la Germania Ovest per 3-2. Non sono molti ad avere dubbi che per qualità del gioco, avrebbero meritato la vittoria gli ungheresi; inoltre nei mesi successivi alla finale i giocatori della Germania Ovest ebbero tutti gravi problemi di salute così da alimentare fortemente l'ipotesi che ad essi venne somministrata una massiccia dose di doping.



La scuola italiana: il catenaccio
Negli anni sessanta si è affermata la scuola italiana. I teorici del gioco all'italiana sono stati
Gipo Viani, Nereo Rocco ed Helenio Herrera che pure era argentino. Si tratta di un modo di giocare che predilige la fase difensiva e predispone un sistema formato da un giocatore libero da compiti di marcatura (una lezione figlia dei terzini metodisti) che agisce alle spalle di due marcatori puri e di un fluidificante, generalmente mancino; il centrocampo è imperniato su due mediani di rottura, anche se spesso uno dei due è un centrocampista polivalente, capace di ricoprire più ruoli nel corso di una partita; davanti a questi o al loro fianco, in posizione centrale, agisce il regista, che ha il compito di organizzare l'intera manovra. La fase di offesa, che nasce dalle aperture o dalle incursioni palla al piede del regista, si sviluppa intorno ad un'ala (solitamente destra), una punta centrale e una seconda punta di raccordo che svaria sul fronte d'attacco.
Le vittorie di Herrera con l'
Inter e di Rocco col Milan hanno confermato nella pratica questa filosofia calcistica, anche se è pur vero che la scuola italiana aveva prodotto eccezionali giocatori di difesa come Giacinto Facchetti, Giovanni Trapattoni, Cesare Maldini, Tarcisio Burgnich e giocatori d'attacco dalla grande fantasia come Mario Corso, Gianni Rivera e Sandro Mazzola. Una scuola prevalentemente difensivista che ha sempre prodotto anche tanti grandi attaccanti e fantasisti.
Alla base della filosofia italiana c'è un attento studio dell'avversario e la grande importanza data alla tattica, due misure oggi adottate quasi ovunque nel mondo del calcio. Pensando soprattutto a non subire reti, la scuola italiana ha modificato alla tattica introducendo la marcatura a uomo in ogni parte del campo e l'impiego sistematico del libero, un difensore d'emergenza senza obblighi di marcatura che giocava dietro la linea dei difensori. Adottare la marcatura a uomo con il libero significa in molti casi uccidere lo spettacolo e stroncare sul nascere ogni iniziativa avversaria. Il cosiddetto
catenaccio. Un metodo che veniva considerato dagli avversari (ma anche oggigiorno) in termini negativi: una squadra poteva arrivare a subire per 89 minuti il gioco avversario ma in una sola azione fiondandosi in contropiede o inventando qualche situazione particolare poteva risolvere la partita senza timore di subire reti... quasi come qualcosa di antisportivo, al limite del regolamento.Tuttavia è pure vero che il calcio italiano ispirandosi alla scuola olandese degli anni settanta ha saputo produrre anche esempi di calcio offensivo, come nel caso del Milan allenato da Arrigo Sacchi negli anni ottanta. Si è trattato di una squadra votata all'attacco e al gioco corale, non trascurando la fase difensiva; ha saputo raggiungere grandissimi risultati anche se soprattutto per merito di stelle straniere.

Il "calcio totale" degli olandesi




Agli albori degli anni settanta, in pieno clima di rivoluzione nella società, anche il calcio ebbe la sua. Si chiamava Olanda. La scuola olandese deve la sua affermazione soprattutto a due persone: l'allenatore dell'Ajax Rinus Michels e il calciatore Johan Cruyff, considerato uno dei migliori di sempre, senza il quale né la squadra di Amsterdam né la nazionale orange avrebbero potuto tradurre sul campo, e con tanta efficienza, la propria forza innovativa.
Quando si parla di "
calcio totale" ci si riferisce al gioco che mostrarono prima il PSV Eindhoven e subito dopo l'Ajax e la selezione olandese: qualcosa di mai visto prima, almeno non in maniera tanto sistematica. Ogni giocatore doveva saper interpretare tutti i ruoli: il difensore saliva ad attaccare, il portiere avanzava per rilanciare immediatamente l'azione, un attaccante poteva e doveva tornare indietro ad aiutare i compagni in fase di non possesso palla. Perché questo potesse verificarsi erano necessarie continue rotazioni di ruolo, con movimenti a scalare e complicati meccanismi tattici.
Ogni giocatore, anche un centrale difensivo o un portiere, doveva saper giocare benissimo il pallone e non buttarlo mai via; tutti e undici dovevano muoversi e correre costantemente per tutti i 90 minuti. Nei pochi momenti in cui i giocatori non correvano, era il pallone a farlo, con una rapida successione di passaggi, la cosiddetta melina, preludio di un'intensa accelerazione del gioco. Alcune di queste caratteristiche oggi appaiono piuttosto scontate per qualsiasi squadra professionista, ma fu l'Olanda a farle vedere per prima su un campo di calcio.
La nazionale olandese, chiamata anche l'arancia meccanica, poteva contare su altri grandi talenti come le due ali
Johnny Rep e Rob Rensenbrink, il difensore esterno Ruud Krol, Johan Neeskens, considerato il "gemello" di Cruyff e altri ancora: una generazione particolarmente dotata, capitanata da Johan Cruyff. Simbolo del giocatore in grado di interpretare ogni ruolo e sapersi adattare ad ogni situazione, velocissimo e dal gran senso tattico. Di base era un centravanti e ha segnato diversi gol ovunque abbia giocato.
Con questi uomini, compreso l'allenatore Michels, l'Ajax vinse tre
Coppe dei Campioni consecutive dal 1971 al 1973 e l'Olanda perse una finale Mondiale nel 1974 contro la Germania Ovest. Michels si prese la rivincita nel 1988 quando vinse il campionato europeo con un'altra grandissima generazione di calciatori.
Oggi la scuola olandese percorre la stessa strada tracciata 35 anni fa e continuano a nascere ottimi giocatori praticamente a getto continuo. Le loro caratteristiche sono quelle classiche di un giocatore orange: duttilità, tecnica, sapienza tattica.

Scuola tedesca: concretezza e vittoria
C'è una frase molto famosa di
Gary Lineker, attaccante inglese degli anni ottanta, che potrebbe servire ad introdurre la "scuola tedesca": «Il calcio è un gioco molto semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e, alla fine, vincono i tedeschi».
Il modello teutonico non riscuote grandi simpatie dai non tedeschi, un po' come succede agli italiani. Il motivo è molto simile: si tratta di una riedizione del gioco all'italiana basato sulla difensiva, che non contempla lo spettacolo. Nella scuola teutonica però i terzini a turno alimentano la fase offensiva e lo strapotere fisico di alcuni giocatori danno un lustro leggermente più offensivo alla disposizione in campo. Nel
1974, la finale mondiale Olanda - Germania Ovest rappresentò lo scontro tra due filosofie opposte di calcio. La Germania Ovest si preoccupò di difendersi dagli attacchi olandesi dando l'impressione di essere ben più debole della sua avversaria. Sotto di un gol, finì per rimontare e vincere la partita.
Ma quella non fu l'unica rimonta "impossibile" dei tedeschi, nel
1954 accadde qualcosa di molto simile all'Ungheria che pure giocava un calcio di gran lunga più bello ed arioso di quello tedesco, che tuttavia poteva contare sul grande temperamento e spirito di sacrificio dei suoi giocatori, e una compattezza in campo invidiabile.
Negli anni settanta la
Germania Ovest era formata dal blocco del Bayern Monaco, l'altra grande del decennio che, di fatto, prese il trono lasciato libero dall'Ajax. In quel Monaco giocavano Franz Beckenbauer e Gerd Müller. Il primo era un libero con una spiccata qualità tecnica, in grado di lanciare l'azione d'attacco e gestire i tempi del gioco. Il secondo, un centravanti non appariscente, né fisicamente né sul piano delle giocate, ma in grado di farsi trovare sempre pronto a mandare la palla in gol. Lo testimoniano le quantità immense di reti segnate.
I caratteri della scuola tedesca sono rimasti invariati fino ad oggi.

La scuola spagnola
Si tratta di una concezione di calcio basata sul possesso palla, sulla verve agonistica, sul gioco corale che porta ad offendere con più uomini diversi, ma con un ritmo più cadenzato rispetto al calcio centro-europeo.
Real Madrid e F.C. Barcelona hanno portato questa filosofia ai livelli più alti, anche se soprattutto per merito di stelle straniere.

La scuola portoghese
Il calcio portoghese adotta un gioco molto tecnico, palla a terra, passeggiato e sempre in attesa di un'invenzione o una giocata di fino per le soluzioni offensive. In questo è molto più vicino al calcio brasiliano che europeo. La grande carenza della scuola portoghese è di non aver mai saputo produrre (ad eccezione del grandissimo
Eusebio) centravanti prolifici. Questo handicap ha pesato moltissimo sulla carenza di vittorie a livello di nazionale, mentre a livello internazionale di club ha un palmares di tutto rispetto.




Il calcio allegro dei brasiliani


Il calcio brasiliano rappresenta la massima espressione dell'allegria e del puro divertimento volto ad intrattenere. Grazie ad una filosofia di gioco volto all'innata musicalità (detto appunto calcio bailado) e senso della tecnica, i brasiliani possono essere dichiarati i più grandi interpreti di questo gioco, non solo per i grandissimi risultati ottentuti nelle competizioni internazionali, cinque volte campione del mondo per nazione (1958, 1962, 1970, 1994, 2002), ma anche per i grandissimi fuoriclasse che questa scuola ha saputo produrre, Pelé, Garrincha, Vavà, Altafini, Zico, Eder, Falcao, Socrates, Careca, Romario, Bebeto, Ronaldo, Ronaldinho, Adriano, Kakà, Roberto Carlos e tantissimi altri. La scuola brasiliana di inizio secolo si caratterizzava da grandissime doti tecniche e di palleggio che riuscivano a sopperire le carenze tattiche che solo negli ultimi decenni, con la partecipazione di giocatori brasiliani in club europei, ha saputo colmare. Al riguardo sono degli esempi di sviluppo del pensiero difensivo l'utilizzo di giocatori di difesa in grandi club europei di giocatori brasiliani permettendo alla scuola brasiliana di ottenere nuove conoscenze dallo studio del calcio europeo.






La scuola argentina a passo di tango


Come la composizione etnica del loro paese suggerisce, gli argentini hanno sviluppato una concezione calcistica prettamente europea, mantenendo una contaminazione propria del sudamerica in misura molto inferiore a tutte le altre scuole d'oltreoceano. È una delle massime espressioni del calcio mondiale sia a livello individuale avendo dato i natali ad alcuni tra i migliori giocatori del pianeta calcio, come Maradona, che di nazionale con la vittoria di titoli al massimo livello, come pure nella categoria dei club in competizioni internazionali, continentali e mondiali, ad esempio col Boca Juniors.

Regole del calcio





L'arbitro
Per ogni gara Ufficiale viene designato un Arbitro dal Competente Organo Tecnico dell'Associazione Italiana Arbitri (AIA). L'Arbitro rappresenta la Federazione ed ad esso sono conferiti tutti i poteri per vigilare sul rispetto delle regole del gioco. A seconda della gara, l'Arbitro può godere della collaborazione di due Assistenti che presidiano le linee laterali, e in alcune categorie viene designato anche un Quarto Ufficiale di gara, che, a seconda del regolamento della competizione, è titolato a sostituire uno degli altri Ufficiali di gara qualora essi non siano in grado di svolgere le loro funzioni.
Nel nostro paese, l'arbitro prima di accedere a tale qualifica deve effettuare un lungo corso, gratuito, presso una sezione AIA, durante il quale egli acquisisce una perfetta conoscenza e padronanza delle regole del calcio, e al termine del corso deve sostenere un esame di qualificazione.
All'arbitro spettano tutte le decisioni tecniche e disciplinari legate allo svolgimento di una gara. Egli inizia ad esercitare la sua autorità disciplinare dal momento in cui raggiunge l'impianto sportivo finché non lo abbandona al termine della gara, mentre invece la sua autorità tecnica vige per tutta la durata della gara. L'arbitro vige sul rispetto delle regole del gioco, e quando ravvisa una infrazione alle stesse, è suo dovere comminare la sanzione tecnica prescritta e anche quella disciplinare, se prevista. Tutte le sue decisioni dovute a fatti di gioco sono inappellabili e spettano a lui e solo a lui, anche se egli ha facoltà di avvalersi del giudizio dei sui assistenti ufficiali.
È nei poteri dell'arbitro comandare calci di punizione o di rigore, ammonire o espellere calciatori, allontanare dirigenti, interrompere o sospendere definitivamente la gara.
La figura dell'arbitro in Italia ha subito un totale mutamento nel corso degli anni. Agli inizi del calcio egli era considerato un Giudice, e per tanto, persona rispettabile e rispettata da tutti. Col tempo l'arbitro da Giudice rispettabile è divenuto una figura vista con sospetto e diffidenza, fino ad arrivare ai giorni nostri dove gli arbitri vengono visti con disprezzo, considerati colpevoli delle proprie sconfitte (ma mai delle vittorie..). L'operato dell'arbitro oggi, soprattutto nelle gare del massimo campionato, viene esaminato istante per istante, scomponendo ogni singolo episodio con decine di immagini da ogni visuale, andando a trovare l'errore anche quando non c'è. Purtroppo l'arbitro è chiamato ad esprimere decisioni nell'arco di pochi millesimi di secondo, egli è vincolato ad una sola visuale, e pertanto non sempre l'arbitro è in grado di assumere la giusta decisione, anche per via della sua natura umana.
Recentemente si sta facendo strada il fenomeno della violenza ai danni dei direttori di gara, soprattutto nelle categorie inferiori. Anche se gli organi di informazione non danno molto risalto a questi episodi, i comunicati ufficiali della federazione riportano sempre più spesso gravi episodi di aggressione ai danni di arbitri.




Pallone in gioco e non in gioco
Tutte le linee disegnate sul campo di gioco, sono parte dell'area che delimitano.
Quindi un pallone che percorre una linea laterale è considerato in gioco, un pallone sulla linea dell'area di rigore è decretato essere all'interno l'area di rigore. In definitiva, il pallone deve superare totalmente la linea laterale o di fondo per essere considerato fuori dal gioco e deve superare totalmente la linea di porta per essere considerato in rete. Se anche una minima parte del pallone non ha oltrepassato la linea, è ancora in gioco.




Falli e scorrettezze
L'arbitro ha il potere di punire un calciatore ed anche un allenatore, o un qualsiasi dirigente presente in panchina, per cattiva condotta, gioco violento o proteste. Un arbitro può estrarre il cartellino giallo come ammonizione, e può estrarre il cartellino rosso che comporta l'espulsione del giocatore. Anche un giocatore in panchina può essere punito con i medesimi provvedimenti. Nel caso venga espulso un dirigente o un allenatore, questi verrà allontanato dalla panchina senza l'esposizione del cartellino.
L'espulsione può avvenire direttamente, per condotta violenta, condotta gravemente sleale, o in seguito alla seconda ammonizione ad uno stesso giocatore (doppia ammonizione): due cartellini gialli equivalgono infatti ad un rosso anche se comminati per motivazioni completamente differenti. Ad esempio il fallo di chiara ed evidente azione da rete impropriamente detto da "ultimo uomo", cioè quando si commette uno dei dieci falli punibili con un calcio di punizione diretto su un attaccante che ha una chiara occasione da rete, comporta l'espulsione (cartellino rosso). Tuttavia l'interpretazione di tale fallo resta materia di dubbi e dibattiti e lasciato alla discrezionalità dei giudici di gara, anche perché molto dipende dalla zona del campo in cui l'infrazione è commessa, ad esempio un fallo da "ultimo uomo" commesso nelle vicinanze delle linee laterali comporta solo l'ammonizione. Un esempio di applicazione automatica del regolamento senza discrezionalità è rappresentato dal fatto che esultare dopo un gol levandosi la maglietta della squadra comporta incondizionatamente una ammonizione (cartellino giallo).



Calci di rigore e calci di punizione
Come già detto, se un giocatore subisce fallo che prevede la concessione di un calcio di punizione diretto all'interno dell'area avversaria, l'arbitro concede il calcio di rigore.
Si tratta della massima punizione per una squadra, perché segnare un rigore è relativamente facile. L'attaccante deve tirare dal
dischetto situato a 11 metri dalla porta, davanti a sé ha solo il portiere che non può muoversi dalla linea di porta se non lateralmente. Fin quando l'attaccante non ha toccato il pallone in avanti, nessuno può entrare all'interno dell'area ed il portiere non può muoversi in avanti.
L'
arbitro fischia un calcio di punizione a favore della squadra che subisce fallo in qualsiasi zona del campo che non sia l'area di rigore (eccetto che si tratti di un calcio di punizione indiretto in area). La squadra che difende può formare una barriera la cui posizione e composizione viene decisa dal portiere, mentre la distanza minima dev'essere di 9,15 metri dalla posizione di battuta, salvo casi particolari in cui la distanza tra il punto in cui si deve battere la punizione e la linea di porta compresa tra i pali è minore di 9,15 metri.

Nascita del calcio moderno


Nascita del calcio moderno
La patria del calcio moderno è l'Inghilterra, e in particolare, i college britannici, nei quali ci si ispirò al calcio fiorentino che veniva praticato a Firenze, nel periodo medievale. Nasce come sport d'élite: erano i giovani delle scuole più ricche e delle università a giocare al football. Le classi erano sempre composte da dieci alunni, e a questi si aggiungeva il maestro che giocava sempre insieme a loro. Ecco spiegato perché si gioca in undici. Il capitano di una squadra di calcio è una sorta di discendente del maestro della public school.

Il portiere: ultimo baluardo a difesa della porta
Nel
1848, all'Università di Cambridge, H. de Winton e J.C. Thring, proposero, e ottennero, di fare una riunione con altri dodici rappresentanti di Eton, Harrow, Rugby, Winchester e Shrewsbury. L'incontro durò otto ore e produsse un importante risultato: vennero infatti stilate le prime basilari regole del calcio.
Queste regole posero fine al dubbio che riguardava la parte del corpo con la quale colpire la palla: con le mani, con i piedi o entrambi indifferentemente? Le cosiddette regole di Cambridge favorivano chiaramente il gioco con i piedi e permettevano il gioco con le mani solo nel momento in cui era necessario catturare un pallone chiaramente indirizzato in porta, come su un calcio di punizione diretto.
Queste regole furono adottate da tutti eccetto che dall'Università di
Rugby, i cui rappresentanti erano chiaramente a favore di un gioco più fisico e che consentisse di toccare il pallone anche con le mani. Si produsse così lo scisma che portò alla nascita del rugby, sport che prende il nome dall'Università che l'ha sviluppato.
Il
26 ottobre 1863 a Londra venne fondata la Football Association, prima federazione calcistica nazionale, nel 1886 le Federazioni britanniche diedero origine all'International Football Association Board, con il compito di sovraintendere al regolamento, ed infine nel 1888 si tenne il primo campionato inglese, secondo la formula tuttora in vigore.
Il calcio intanto si espandeva a macchia d'olio: in Inghilterra ben presto divenne lo sport per eccellenza della working class e non solo delle élite. Questo nuovo gioco, divertente, semplice e stancante era l'ideale per sfogarsi dopo una settimana lavorativa.
Dall'Inghilterra il calcio venne esportato in tutta
Europa ad opera di emigrati di ritorno dall'Inghilterra stessa e che furono tra i primi a conoscere il football, o su iniziativa degli stessi inglesi che si trovavano all'estero.
In Sudamerica, i marinai inglesi preferivano giocare a calcio tra di loro lasciando da parte la gente del posto. Ma rimanere fuori a guardare si rivelò decisivo: ben presto, brasiliani e uruguaiani diventarono ben più abili dei maestri nel praticare il calcio.
Il fenomeno ormai era di dimensioni intercontinentali, ed era necessario adattare le istituzioni calcistiche e chiarire in maniera più dettagliata le regole. In questi anni infatti, erano svariate le interpretazioni del gioco.
Finalmente, anche a questo scopo, nel
1904 si costituì la Federation Internationale de Football Association (FIFA), cui si affiliarono le varie Federazioni nazionali.

Come si gioca a calcio e da cosa è composto



Campo da gioco



Il calcio, si gioca su un campo rettangolare di dimensioni mediamente sui 105x65 m. Il terreno,deve essere ricoperto d'erba naturale. Non mancano le eccezioni in ambito nazionale, a Mosca il campo è in materiale sintetico e negli USA sono stati ampiamente sperimentati e poi abbandonati i campi con tappeto in erba sintetica Il Terreno viene delimitato ai lati da righe bianche tracciate con pigmenti bianchi (solitamente in gesso o vernice), ed è caratterizzato da due portali rettangolari (comunemente porta da calcio) muniti di reti nella parte posteriore ed esterna al terreno di gioco. Si gioca attivamente sul campo con l'uso di una sfera (comunemente pallone da calcio).



Scopo del gioco
Lo scopo del gioco è di far entrare la sfera (originariamente una palla di cuoio) nella porta avversaria, delimitata da due pali verticali congiunti da una traversa superiore che li unisce.La regola principale che caratterizza e differenzia questo sport rispetto al Rugby e Pallamano è che la palla non può essere colpita con braccia e mani; per lo più si usano i piedi ma ogni altra parte del corpo è ammessa. Il giocatore deputato al ruolo di portiere è l'unico che può toccare il pallone con le mani, ma solo all'interno della propria area di rigore (un rettangolo prospiciente la porta delimitato anch'esso da righe bianche).



Ruoli
Sono 4 i principali ruoli del calcio: il portiere, il difensore, il centrocampista; l'attaccante. .I giocatori vengono messi in campo secondo delle tattiche, oggi comunemente indicate con tre o più numeri e fino agli anni cinquanta designate da termini quali Metodo, Sistema, Piramide.



Durata del gioco
Le partite della variante canonica principale del calcio durano novanta minuti e sono suddivise in due frazioni (comunemente tempi) di quarantacinque minuti ciascuna, intervallati da un periodo di riposo non superiore ai quindici minuti. Prima della fine dei due tempi, il giudice di gioco (comunemente l'arbitro) decide se concedere un periodo di estensione del tempo di gioco (comunemente recupero) come parziale contropartita al tempo perso per sostituzioni, infortuni o quant'altro si verifichi durante il gioco e sia causa di arresto temporaneo della partita. Abitualmente sono concessi da uno a cinque minuti per tempo. Il tempo di gioco effettivo è sempre inferiore a quarantacinque minuti poiché il cronometro ufficiale non può essere mai fermato, come accade per esempio nel basket; in caso contrario la partita viene sospesa temporaneamente e ripresa, nel conteggio del tempo, dal momento della sospensione. in caso di impossibilità di proseguire normalmente il gioco essa può essere definitivamente sospesa con decisione autonoma dell'arbitro o dopo consultazione dello stesso arbitro con i capitani delle due squadre. L'arbitro è anche il cronometrista ufficiale della partita.



Casi particolari
In competizioni che prevedono l'eliminazione diretta ed esigono un vincitore della gara, attualmente si ricorre di solito a tempi supplementari (due tempi di quindici minuti ciascuno) e, in caso di ulteriore parità, si passa ai calci di rigore per stabilire il vincitore. Precedentemente era in vigore un sistema casuale per determinare la squadra vincente basato sul lancio di una monetina: il cosiddetto "Testa o croce".



Varianti principali
Alcune varianti nel meccanismo dei tempi supplementari, introdotte dalla seconda metà degli anni novanta prevedono il silver gol: la squadra che riesce a terminare in vantaggio il primo tempo supplementare si aggiudica l'incontro senza bisogno di disputare il secondo tempo supplementare, ed il golden gol: la prima squadra che segna nei supplementari si aggiudica l'incontro e la partita finisce immediatamente. Queste modifiche regolamentari sono state abolite nel 2004.Degne di nota sono anche le varianti che riguardano il numero dei giocatori schierati, in numero di 7 (calcio a sette) o di 8 (calciotto) in voga tra i giovani e dilettanti, ma soprattutto in numero di 5 (calcio a cinque, comunemente detto calcetto) nella forma che è attualmente tra le più popolari e seguite fra le varianti emergenti.



Diffusione
Il calcio si gioca a livello professionistico in tutto il mondo. Milioni di persone vanno regolarmente allo stadio per seguire la propria squadra del cuore, e molte altre guardano le partite in televisione. C'è anche un elevatissimo numero di persone che gioca al calcio a livello amatoriale. Non c'è dubbio che la popolarità di questo sport continui a crescere continuamente. In Africa, Asia e Stati Uniti l'interesse sta crescendo sempre più negli ultimi anni. Non a caso, nel 2010 il Sudafrica ospiterà la manifestazione più importante del calcio: i Mondiali di calcio.